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  • L'approccio iniziale della maggior parte delle società e degli enti nei confronti del D.Lgs. 8.6.2001, n.231 - che ha introdotto la possibilità di adottare un modello organizzativo con valore esimente nel caso di procedimento penale a carico di società ed enti - è stato quello di fronteggiare l'ennesimo adempimento formale, redigendo un documento più o meno adeguato e appropriato.

    Con il tempo si è iniziato a capire che il modello organizzativo previsto dalla normativa 231 non era soltanto un documento cartaceo, ma era una scelta organizzativa conforme alla legge, e adottare un modello organizzativo conforme alla legge significava impostare tutta l'attività dell'impresa secondo determinati criteri.

  • Parallelamente, si è ben compreso che il modello organizzativo 231 non è un documento che si redige una volta per tutte, ma è un cantiere aperto e il fatto di dover ritornare su certe parti del modello non è il sintomo che si è lavorato male in precedenza, non è il segnale che sono stati commessi errori in passato. Il modello si fa così, l'ha scritto il Legislatore, lo prevede l'art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 che fra i compiti dell'Organismo di Vigilanza comprende anche l'aggiornamento continuo del modello.

    Le modifiche successive al modello che è stato adottato devono essere introdotte perché viene ampliato il catalogo dei reati presupposto, perché mutano le prassi, perché emergono i limiti dei protocolli e perché cambiano le persone che gestiscono i protocolli. Il modello organizzativo deve essere flessibile e la sua flessibilità nel tempo è data proprio dal continuo aggiornamento, che non è un difetto, ma è il valore vero del modello.

  • L'art. 6 D.Lgs. n. 231/2001 prevede che il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello organizzativo e di curarne l'aggiornamento, sia attribuito a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.

    La persona giuridica è infatti esonerata da responsabilità per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, qualora abbia adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi e abbia istituito al suo interno tale organismo prima della commissione del fatto illecito.

    In caso di commissione di un reato, per poter beneficiare dell'esimente, l'ente dovrà provare anzitutto che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte di tale organismo.

  • Si pone dunque il problema di stabilire quali caratteristiche debba avere l'Organismo di Vigilanza e quale debba essere la sua composizione, affinché possano ritenersi soddisfatti tutti i requisiti richiesti dalla norma.

    Dopo l'introduzione del D.Lgs. n. 231/2001, vi è stato un primo periodo in cui l'attenzione di tutti era concentrata sui modelli organizzativi, che avrebbero dovuto escludere la responsabilità della società e degli enti.

    In breve tempo ci si è resi conto che si potevano approvare e adottare modelli bellissimi sulla carta, ma bisognava comunque fare i conti con l'Organismo di Vigilanza, che doveva essere dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, doveva vigilare sull'efficace ed effettiva attuazione di quei modelli e doveva curarne l'aggiornamento.

  • La centralità dell'Organismo di Vigilanza deriva proprio dal fatto che la possibile esenzione da responsabilità dell'ente passa in via prioritaria dalla valutazione della idoneità dell'organismo ad assolvere i compiti ad esso attribuiti dalla legge, idoneità che trova un primo fondamentale elemento valutativo nell'adeguatezza dell'assetto organizzativo dell'organismo stesso.

    La valenza strategica dell'Organismo di Vigilanza è un tema articolato e complesso, quasi di ingegneria costituzionale, perché il Legislatore ha previsto l'istituzione dell'Organismo di Vigilanza, ma non ha poi disciplinato le modalità di composizione dello stesso.

  • L'art. 6 del D.Lgs n. 231/2001 afferma soltanto che il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, senza declinare in alcun modo tale enunciato.

    L'assenza di prescrizioni specifiche da parte del Legislatore, ha determinato un'intensa attività di interpretazione da parte delle associazioni di categoria (chiamate a tale compito dallo stesso decreto), della magistratura, della dottrina, delle imprese e dei loro consulenti.

    Dal dettato normativo si evince che l'Organismo di Vigilanza deve presentare indipendenza, autonomia, professionalità e continuità di azione, caratteristiche che dimostrano la volontà dell'ente di creare una valida organizzazione atta ad impedire, per quanto possibile, la commissione di reati.

  • Confindustria, nelle proprie Linee Guida, descrive i compiti dell'Organismo di Vigilanza nei seguenti termini:

    • vigilanza sull'effettività del Modello, che si sostanzia nella verifica della coerenza tra i comportamenti concreti e il Modello istituito;
    • disamina in merito all'adeguatezza del Modello, ossia della sua reale (e non meramente formale) capacità di prevenire, in linea di massima, i comportamenti non voluti;
    • analisi circa il mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del Modello;
    • cura del necessario aggiornamento in senso dinamico del Modello, nell'ipotesi in cui le analisi operate rendano necessario effettuare correzioni e adeguamenti.
  • Esistono varie scelte in merito alla composizione dell'Organismo di Vigilanza, nessuna delle quali è migliore in senso assoluto.

    La preferenza andrà accordata in ragione di una serie di considerazioni riferite alla specifica realtà dell'ente: complessità organizzativa, tipicità operative, numero e caratteristiche delle aree a rischio, articolazione del sistema di controllo preesistente, presenza di competenze interne adatte a ricoprire il ruolo, ecc..

    In ogni caso, i componenti dell'Organismo di Vigilanza devono avere idonee competenze professionali e possedere/acquisire un'approfondita conoscenza della struttura organizzativa dell'ente, oltre che totale padronanza di ogni singola parte del Modello, ivi comprese le parti speciali.



Il Registro

Il REGISTRO 231 costituisce il primo Data Base italiano delle SOCIETÀ ED ENTI che hanno adottato i modelli organizzativi previsti dal D.Lgs. 231/2001 e di tutti i soggetti (ORGANISMI DI VIGILANZA e CONSULENTI) che svolgono la propria attività professionale in ambito 231.

Attraverso la realizzazione e la stesura del REGISTRO 231, la Rivista 231 si propone di aprire un'ampia finestra sul mondo 231 composto da SOCIETÀ ED ENTI, ORGANISMI DI VIGILANZA e CONSULENTI, favorendo occasioni di incontro, visibilità e confronto.

La raccolta di informazioni quantitative e qualitative intende favorire una facile reperibilità dei dati non sempre disponibili sulle SOCIETÀ ED ENTI e sui loro modelli organizzativi, sulla composizione e operatività degli ORGANISMI DI VIGILANZA, sulle attività e i servizi offerti dai CONSULENTI esperti della materia.

 
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Il REGISTRO 231 si compone di tre sezioni: SOCIETÀ ED ENTI, ORGANISMI DI VIGILANZA e CONSULENTI.

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